Possiamo dire che una persona si intende di vino quando, con le sole informazioni trasmessegli dai suoi sensi, sa individuare le caratteristiche principali di un vino e, senza averne letto l’etichetta, è in grado di riconoscere di che vino si tratta, ad esempio un Chianti, un Barbaresco o un Verdicchio, o almeno il vitigno principale.
L’intenditore può essere un amatore o un professionista, ma entrambi hanno seguito lo stesso percorso formativo, fatto di una parte teorica e di una pratica.
La parte teorica consiste nell’apprendere quali sono le caratteristiche strutturali e aromatiche del vino.
Le prime sono il colore, la limpidezza, la brillantezza, l’acidità, l’alcolicità, la morbidezza, il corpo, la sapidità, la dolcezza, l’amarezza, l’effervescenza (per i vini spumanti) e la tannicità (per i vini rossi). Ciascuna di queste caratteristiche rilevabili dai nostri sensi corrisponde alla presenza più o meno rilevante di determinati elementi chimici.
Le caratteristiche derivanti dai composti aromatici del vino, si dividono in varie classi: floreali, vegetali, fruttate, minerali, balsamiche e così via.
Di non minore importanza è il saper riconoscere le diverse patologie del vino, come l’ossidazione e il sentore di tappo, o gli squilibri eccessivi tra le varie componenti strutturali, come l’eccessiva astringenza o la pesantezza.
Una volta appreso quali cose bisogna cercare nel vino, non resta (e scusate se è poco) che trovarle e riconoscerle nel bicchiere. Allo stesso modo di un apprendista cercatore di funghi, che deve in primo luogo studiare sui libri quali sono e come sono fatti i funghi commestibili (e anche quelli velenosi), ma prima o poi deve entrare nel bosco e cercare di trovarli.
L’apprendimento pratico è di gran lunga la cosa più importante e richiede, oltre all’allenamento del naso a riconoscere, anche quello del cervello a ricordare le sensazioni gusto-olfattive. I grandi esperti hanno un bagaglio enorme di ricordi sensoriali e, anche a distanza di anni, riescono a ricordare (vorrei dire a rievocare) le sensazioni gusto-olfattive del passato e confrontarle con quelle di altri i vini.
Ma a questi livelli si giunge, oltre che col talento naturale e l’applicazione continua, con un atteggiamento generale di umiltà e coscienza dei propri limiti.
Momento essenziale della formazione è anche la conoscenza (acquisita bevendo) dei grandi vini del mondo, senza la quale non si può completare verso l’alto la scala dei valori. Sarebbe come se un esperto d’arte non avesse mai visto le sculture di Michelangelo e Bernini o le opere pittoriche Leonardo o Caravaggio. Purtroppo però i grandi vini sono molto costosi e non basta qualche sorso per coglierne tutta la ricchezza e complessità.
Tutto quanto sopra è agli antipodi dell’atteggiamento del “finto intenditore”.
Il finto intenditore, oltre a comportarsi come la spassosa caricatura che ne ha fatto Antonio Albanese, è in buona sostanza uno che parla di cose che non conosce. E ovvia alla mancata competenza con un eccesso di parole che servono più a incantare l’ascoltatore che a comunicare gli elementi descrittivi essenziali del vino in esame. Un buon modo per verificare la competenza di costoro è chieder loro quale è il miglior vino che ricordano di avere bevuto e che cos’aveva di così speciale. Molto spesso la risposta è una cortina fumogena di parole.
Chi scrive ha partecipato a degustazioni con autentici fuoriclasse del ramo: ebbene, di ciascun vino davano una descrizione di poche ma esaurienti parole, che illuminavano le nostre sensazioni. Così come un bravo artista ha bisogno di pochi tratti di matita o di pennello per evocare l’immagine di un paesaggio o di un volto. Less is more.