I francesi e noi

I francesi e noi

12 Aprile 2018

Di Paolo della Rosa

Una frase ricorrente sulle bocche italiane è “i francesi si sanno vendere bene” riferita ad alcuni prodotti di eccellenza dei cugini d’Oltralpe, e in particolare al vino.

Questa espressione sottende che i nostri vini non siano di certo inferiori ai loro, (anzi!), ma mentre NOI badiamo alla sostanza del prodotto, LORO invece abbelliscono la modesta qualità del vino proponendolo con allori, lustrini e paillettes. Spesso la frase di cui sopra è seguita da un giudizio negativo sul vino francese, ovvero su tutti i vini francesi. E alla domanda su come e con quali vini si siano fatti questa convinzione, si ottengono risposte piuttosto incerte e vaghe…

Vorrei allora fare alcune considerazioni.

La prima che mi viene è che “sapersi vendere bene” è una qualità e non un difetto. Diversamente dalla menzogna truffaldina, volta a ingannare il prossimo per denaro, il valorizzare quanto si crea è quasi doveroso verso il lavoro profuso. Anche se talvolta in certi ristoranti di Francia (e soprattutto a Parigi) la pratica della fregatura tirata con grande prosopopea all’ignaro turista non è poi così rara…

Si può anche essere indotti a pensare che giudizi così generici e generalizzanti siano frutto dell’alleanza tra presunzione e ignoranza, così frequente di questi tempi.

Chi scrive è convinto (ma è solo la mia opinione) che i vini italiani abbiano potenzialità di miglioramento ben maggiori di quelli francesi, ma sulla strada della ricerca della qualità massima siamo in ritardo di alcuni secoli, anche se stiamo rapidamente riducendo il distacco.

Qualche esempio.

Il vino più celebre e celebrato del mondo (lo Champagne ovviamente) è nato circa tre secoli fa, il Franciacorta mezzo secolo fa.

I grandi Bordeaux del Médoc (a base di Cabernet e Merlot) hanno mosso i primi passi e avuto il loro sviluppo, a seguito del fiorire dei grandi Chateau, nel Settecento e nel primo Ottocento. Il nostro Sassicaia ha circa mezzo secolo.

I monaci Benedettini (e poi anche Cistercensi) hanno cominciato a individuare i vigneti migliori della Borgogna quattordici secoli fa, e hanno accompagnato la crescita qualitativa del Pinot nero fino a portarlo già nel Settecento alla vetta dei vini del mondo, su cui ancora si trova.

Il nostro Barolo iniziò il suo percorso di grande vino a metà dell’Ottocento, quando la marchesa Falletto (francese di nascita) chiamò un enologo francese per eliminare i difetti e migliorare la qualità del vino delle sue tenute a Castiglione Falletto. In seguito quell’enologo venne contattato dal conte Camillo di Cavour.

Il Brunello di Montalcino cominciò la sua strada verso la gloria solo dopo il 1880 quando il grande Ferruccio Biondi Santi si impegnò a trasformare il vinello di pronto consumo dei suoi vigneti in un grande vino fatto alla maniera dei grandi vini francesi.

Il fatto fondamentale in viticoltura è che la messa a punto e l’ottimizzazione del rapporto fra i vertici del triangolo del vino (territorio – vitigno – mano dell’uomo) richiede molto tempo, anche secoli talvolta. Sette anni come minimo devono infatti passare da quando si pianta il vigneto a quando si possono valutare i risultati sulla base delle uve ottenute. Poi si devono studiare le caratteristiche delle varie vendemmie in funzione delle condizioni meteorologiche delle diverse annate. E poi – a valle – si devono sperimentare le procedure di cantina migliori per valorizzare queste uve. E poi ancora aspettare anni per vedere come il vino si comporta nel tempo. E poi ancora sperimentare le nuove tecniche agronomiche ed enologiche che il progresso tecnico-scientifico mette a disposizione. E se qualcosa non va ricominciare tutto daccapo, o quasi. Insomma non si finisce mai.

Tutto questo spiega il divario qualitativo che ancora persiste tra i nostri vini migliori e quelli francesi di altissima gamma. Divario che il mercato internazionale del vino non fa che confermare in ogni asta con le quotazioni che ciascun vino raggiunge.

Detto questo, bisogna però completare il discorso con le prospettive future. Prospettive che ci favoriscono, perché la ricchezza ampelografica e la varietà dei terroir del nostro paese è ineguagliabilmente superiore a Francia e resto del Mondo. Basterà sviluppare al meglio quello che abbiamo per raggiungere ogni traguardo.