C’è un finto dibattito che attraversa la critica gastronomica e tutti gli appassionati: ma i ristoranti devono proporre porzioni abbondanti o no? Il dibattito è finto perché di dubbi non ce ne sono: a parte una manciata di locali stellati che possono permettersi il lusso di proporre dosi normali, o meglio: dove la somma dei piatti proposti non è mai eccessiva, tutti gli altri devono abbondare. Qualche critico è contento di questo, qualche altro (per esempio chi scrive) non più di tanto. Comunque una cosa è chiara: chi offre razioni “giuste”, che non è un concetto astratto ma sono le dosi consigliate con assoluta unanimità da tutti gli Istituti della Nutrizione di tutti i paesi, perde clienti mentre che abbonda è sempre pieno.
Premessa: qui si parla del mangiare nei ristoranti, che è sempre un’eccezione rispetto alle volte che mangiamo a casa (e nelle mense, che sono, devono essere un surrogato della cucina casalinga). L’attenzione alle dosi, alle calorie, all’equilibrio fra carboidrati e proteine, al colesterolo, ai grassi e quant’altro deve essere massima nella cucina di tutti i giorni. L’obesità sta diventando, probabilmente lo è già, il maggiore problema epidemiologico in tutta Europa e in tanti altri paesi del mondo, un problema che al di là di tutto stressa i sistemi sanitari di tutti i paesi: se si va avanti così si arriverà a dei costi che saranno socialmente insostenibili. Quindi questa attenzione è sacrosanta.
Il problema dei ristoranti è del tutto diverso, però. Comunque sia, sono sempre un’eccezione e anche se sgarriamo poco incide nella nostra alimentazione globale: eccedere ogni tanto non è mai un problema, perché, come diceva il sommo Paracelso, è la dose che fa il veleno.
E se andiamo nei ristoranti scatta il ricordo secolare: è una festa e la festa richiede un grande consumo di cibo. Lo hanno notato per primi gli studiosi delle fiabe: il premio richiesto dal buon contadino, storicamente affamato, che aveva ben servito il re non era di diventare nobile, questo era troppo lontano dalla sua mentalità, ma una grande mangiata condivisa con tutti gli amici. Dove rimpinzarsi a più non posso, che il giorno dopo si sarebbe ripreso a fare i conti con la fame.
Oggi la fame non c’è più qui da noi in Europa, un po’ si mangia di meno ma comunque quando si va in un ristorante sempre festa è. E se trovi 60 g di pasta nel piatto dici: in questo locale ti fanno fare la fame. È chiaro, tutti ma proprio tutti non lo dicono, qualcuno al passo coi tempi c’è, ma lo dicono la maggioranza dei clienti. E dato che il tam tam è il primo se non l’unico strumento pubblicitario dei ristoranti, se si diffonde la percezione che in un locale “si mangia poco”, è una pubblicità molto, molto negativa. Mentre la frase “non riesci a finire quello che ti portano” è positiva che di più non si può.
E dato che il ristorante è comunque un’azienda con stipendi e fornitori da pagare e anche un utile da distribuire, quando qualche amico ristoratore mi chiede: ma che devo fare? Io gli consiglio di aumentare le dosi. Che le materie prime incidono nei costi del ristorante moooooolto meno del lavoro e di affitti & ammortamenti vari, poi soprattutto pasta e riso, i piatti dove di più scatta la “sindrome del mi fanno fare la fame”, costano veramente poco e quindi, a parità di sugo, portarli a 100 g a testa è un costo che di fatto non c’è.